SWZ: Signor Baban, invece di creare start-up da zero, lei segue il concetto di re-startup, quindi supporta aziende esistenti che non esauriscono pienamente il loro potenziale. Come le è venuta questa idea?
Alberto Baban: È tipico per le aziende avere delle curve. Sono ascensionali nel periodo della loro crescita e stazionarie quando trovano una dimensione competitiva. Poi le aziende o ritrovano uno slancio nuovo oppure si bloccano e spesso questo fermarsi è l’inizio del declino. Ci piace trovare delle società che in un certo senso hanno chiuso un loro ciclo gestionale, che può essere anche un passaggio generazionale, oppure sono “stanche” perché sono prive di visioni oppure il loro modello di business sta subendo delle trasformazioni. Qui entra in gioco il modello re-startup. Per questo abbiamo fondato VeNetWork – siamo 57 imprenditori …
… imprenditori che investono su aziende come lo fa un fondo private equity.
Sottolineo che non siamo un private equity. VeNetWork è una società per azioni che – è vero – fa investimenti come lo fanno i private equity. Però non investiamo soltanto, diamo anche supporto manageriale, per esempio tramite i consigli d’amministrazione. Siamo tutti imprenditori che di esperienze utili ne hanno fatte. Ed è questa la differenza: i private equity sono seguiti da manager che raccolgono fondi da investitori. Noi invece siamo imprenditori con le nostre attività, agiamo con i nostri fondi e mettiamo a comun denominatore la nostra capacità ed esperienza imprenditoriale.
Quali sono, secondo la sua esperienza, i fattori che fanno decollare un’azienda?
In testa ad un’azienda di successo c’è sempre una persona – che non deve essere obbligatoriamente il titolare – che riesce a costruire e organizzare un team abile.
Per fare impresa non si può dire “io”, ma serve un “noi”.
Esattamente. La genialità della singola persona non va da nessuna parte se non c’è un team che mette in esecuzione le idee eccellenti. Il mio è un approccio più manageriale e molto meno padronale e familistico. L’idea tipica che abbiamo in Italia invece è quella dell’azienda familiare.
Significa che i migliori imprenditori sono quelli che riescono a motivare e abilitare i dipendenti?
Assolutamente sì. Premiano il talento prima ancora che cerchi altre strade perché non riesce ad esprimersi.
Nelle aziende che scegliete in VeNetWork c’è un prodotto buono, ma manca il team?
Non bisogna mai farsi affascinare troppo dal prodotto. Noi prima analizziamo il mercato, poi scegliamo i manager. La capacità di gestire l’impresa e la capacità di influire sul mercato ha assunto una complessità tale che per forza si deve investire sulle persone.
I temi che lei tratterà al Forum Altoatesino dell’Economia sono sulla bocca di tutti: digitalizzazione e innovazione. Ma in tante aziende questi temi trovano resistenze, visto che l’uomo non ama il cambiamento.
La digitalizzazione è pervasiva dappertutto e bisogna comprendere questo cambiamento. Le faccio l’esempio di Amazon: non produce niente, ma si porta via una bella fetta del valore aggiunto. Non cambia i prodotti, ma il modo di conquistarsi il consumatore.
Lei si impegna anche all’interno del Consiglio direttivo di Unicef Italia. Perché?
Rendendosi conto dell’enorme differenza tra una parte del mondo sottosviluppata e la nostra parte più fortunata, non si può fare altro che cercare di dare un contributo nel suo piccolo. Partire dai bambini dà il senso del futuro. Un bambino non può scegliere dove nasce. Detto questo, sono convinto che l’Africa è il tema del prossimo futuro. L’Africa è la prospettiva del futuro, mentre l’Europa è il continente forse più evoluto, ma anche un continente che invecchia e deve avere dei grandi dubbi sul suo futuro.
L’impegno in Unicef le ha fatto cambiare il modo di vedere la propria vita?
Uscire dal proprio mondo per vedere altre realtà, ti fa comprendere molto di più. Non è che ti debba cambiare la vita, ma in un certo senso si ha più rispetto per gli altri. Penso che dovremmo cominciare ad essere più riflessivi – spesso siamo troppo di corsa per approfondire questi pensieri. Forse sta cambiando qualcosa, a partire dai giovani.
In che senso?
Ci troviamo davanti alla prima generazione che è costretta a porsi la domanda se la nostra idea di industrializzazione e di sviluppo abbia bisogno di limiti – limiti nel senso della protezione del clima, ma anche limiti tecnologici per questioni etiche. Viviamo una fase di grande cambiamento. Finora bisognava stare a testa bassa, lavorare, sviluppare, evolversi, senza porsi tante domande. Ora è arrivato il momento di prendere delle decisioni prima che non saremo più in grado di decidere.
Parliamo dell’Italia. Come vede questo paese che da dieci anni non riesce a decollare economicamente?
Ci sono tante cose in questo paese che avrebbero bisogno di un re-startup. Ed ancora una volta parto dai giovani. All’Italia serve un piano di intervento straordinario, non solo di correttivi, per fermare l’emorragia dei suoi giovani. L’Italia è un paese vecchio, ed è provato scientificamente che esista una corrispondenza tra demografia e sviluppo di un territorio. Le faccio un esempio concreto …
… prego.
Torino perde 500 abitanti al mese, Milano ne guadagna 1.000. Torino rappresenta l’industria del novecento, Milano rappresenta attualmente il massimo sviluppo in Italia.
Da dove partire se in un territorio non c’è lavoro per i giovani?
Serve un grande piano per l’incentivazione delle imprese. Bisogna facilitare gli investimenti delle imprese. Non serve per forza che importiamo il modello americano incentivando soprattutto le startup. Anzi, bisogna puntare su quello che abbiamo già costruito, perché in Italia abbiamo la fortuna di avere una moltitudine di piccole e medie imprese. È vero che le startup sono l’embrione dell’imprenditorialità, ma non è detto che diventino veramente delle imprese. In Italia contiamo circa 10.000 startup innovative, ma la maggior parte di loro dopo dieci anni si definisce ancora tale – non si ha il coraggio di dire che sono imprese praticamente mai nate, esperimenti falliti.
Quindi lei punterebbe sulle realtà esistenti.
Non solo, ma certamente di più. Chi ha già fatto impresa, ha imparato quali sono le enormi difficoltà e come affrontarle. Persone che hanno già queste “ferite”, sono ideali per realizzare progetti e posti di lavoro.
Quali misure prenderebbe se facesse lei parte del Consiglio dei Ministri?
Prima cosa: il già citato piano per l’incentivazione delle imprese. Seconda cosa: una riforma totale della macchina pubblica, che è diventata l’esempio di un’azienda che non si dovrebbe mai avere. Si è indebitata di 2.500 miliardi, quindi ha indebitato le generazioni future e non riesce a contenere le proprie spese. È un sistema calcificato che rimanda i problemi invece di affrontarli – aziende che fanno questo, si trovano all’inizio del declino. Terza cosa: relazionarsi di più con i giovani per riuscire a dare loro lo stimolo di essere protagonisti. Non voglio fare il pessimista, ma già siamo all’ultimo grido d’allarme. Se non fermiamo l’emorragia dei nostri giovani, non voglio pensare a quello che succederà all’Italia tra dieci anni – non tra cento.
Il Forum L’imprenditore Alberto Baban sarà uno dei relatori del Forum Altoatesino dell’Economia che si terrà al MEC di Bolzano venerdì, 27 marzo. Gli altri relatori saranno Georg Kofler, membro della giuria della trasmissione televisiva “Die Höhle der Löwen”, la topmanager Angelika Gifford (attualmente Facebook, un passato in Microsoft e HP), l’imprenditore meranese Alex Nigg che da 30 anni vive e lavora nella Silicon Valley ed il presidente del gruppo Tecnica Alberto Zanatta.
INFO Lettori del SWZ usufruiscono di uno sconto del 10 per cento sul prezzo del biglietto (285 Euro + Iva) indicando il codice “swz*20” al momento dell’iscrizione. Programma e iscrizione: www.wirtschaftsforum.it
Info
Alberto Baban, il re-startupper
Alberto Baban ha trascorso una vita da dipendente prima di mettersi in proprio fondando varie startup e poi diventando re-startupper. Ha lavorato come venditore di materiali plastici dal 1988 al 1989, ma dopo essere stato licenziato ha fondato Tapì, produttore di tappi. Baban ha venduto l’azienda a fine 2016, raggiunto il suo 50esimo compleanno. Allora fatturava circa 40 milioni all’anno. Oggi Baban è presidente di VeNetWork, una società che attualmente unisce 57 imprenditori veneti e che funge da acceleratore per aziende esistenti con potenziale inutilizzato per farle rinascere grazie a capitali e know-how imprenditoriale. Un bell’esempio per questo modello re-startup è Fantic Motor, produttore di motociclette fuoristrada che ha fatto di “Caballero” un simbolo degli anni ‘70. Dal 2015 al 2019 il fatturato è cresciuto da uno a più di 40 milioni. Alberto Baban attualmente è azionista in 16 aziende. È anche membro del Consiglio Direttivo di Unicef Italia. Dal 2013 al 2017 è stato presidente della Piccola Industria di Confindustria.